Home Le ricerche che ci interessano Non esistono ragazzi “difficili”: giudicare i problemi comportamentali dal punto di vista delle circostanze

Non esistono ragazzi “difficili”: giudicare i problemi comportamentali dal punto di vista delle circostanze

by Umbrella

Per introdurre i lettori alla visione “circostanziale” o alla “Circumstances View”, Patrick Friman inizia raccontandoci un aneddoto storico. Agli inizi del 20° Secolo, un prete americano, Padre Edward J. Flanagan, comprò una casa con l’idea di accogliere un piccolo numero di orfani della propria cittadina. Questi ragazzi erano abituati a vivere in strada e non possedevano educazione e formazione elevate, conseguentemente, venivano considerati degli incivili, maleducati, oltre che potenzialmente pericolosi. Per questo motivo, la scelta fatta da Padre Flanagan, fu considerata all’epoca una sorta di “esperimento”.

Tuttavia, lui aveva un altro punto di vista sulla questione, e ne era convinto. A tale riguardo Friman riporta, una delle sue frasi più celebri, che abbiamo tradotta in maniera letterale: “Non esistono ragazzi cattivi, ma bensì ambienti, modelli ed insegnamenti non buoni” (Oursler & Oursler, 1949). Infatti secondo Padre Flanagan, questi ragazzi non erano difficili, ma piuttosto ragazzi sfortunati, che avevano affrontato nel corso della loro vita numerosi eventi negativi che li avevano portati ad assumere un comportamento errato. Quello che fece Padre Flanagan fu di cercare di dare a questi ragazzi quello che non avevano mai ricevuto, quindi cercò di modificare le circostanze in cui vivevano al fine di modificare anche il loro comportamento. Tale approccio portò a numerosi cambiamenti positivi in questi ragazzi, tanto che a partire dal 20° Secolo, quello di Padre Flanagan è ancora oggi fra i più conosciuti e impiegati metodi per risolvere le problematiche all’interno delle case famiglia per bambini e ragazzi adolescenti.

Il punto di vista di Padre Flanagan riflette un tipo di visione delle problematiche comportamentali che verrà definita lungo tutto il testo come la “Circumstances View”, o visione “circostanziale”, la quale presenta una linea di pensiero paragonabile a quella degli analisti comportamentali, o meglio ancora incarna l’ideale e la filosofia che si trova dietro il comportamentismo puro, cioè il comportamento nasce in funzione delle circostanze che contornano l’individuo. Questa visione che caratterizza gli analisti comportamentali, è la stessa che li allontana maggiormente dalla visione degli altri professionisti in ambito psicologico: sappiamo infatti che la principale differenza esistente fra l’approccio utilizzato dagli analisti comportamentali e quelli utilizzati da altri professionisti, sta nel fatto che i secondi si focalizzano principalmente sull’individuo, andando a ricercare le cause delle azioni o del malessere nell’individuo stesso, che siano fattori biologici o meno; mentre gli analisti comportamentali si concentrano più sulle circostanze che determinano un comportamento (Hineline, 1992).

Andando oltre i principi e la filosofia dei diversi ambiti della psicologia, possiamo ritrovare l’applicazione o la non applicazione dell’approccio circostanziale nella vita di tutti i giorni, partendo dalle nostre più piccole azioni quotidiane, fino ad arrivare alle scelte geopolitiche di cui sentiamo parlare tutti i giorni al telegiornale. Facendo caso a questi piccoli eventi che popolano la nostra vita di tutti i giorni, ci accorgeremo che spesso tendiamo a dare la colpa agli altri dei loro errori, ma allo stesso tempo a “giustificare” i nostri errori poggiandoci sulle circostanze. Questo punto di vista opposto a quello circostanziale è conosciuto come “the fundamental attribution of error”, secondo il quale gli errori degli altri sono il frutto dei loro difetti legati ad esempio alla loro personalità, oppure alla loro psiche, oppure ancora alla loro educazione.

Diretta conseguenza della visione “colpevolizzante” è la “punizione”, punire l’altro perché causa di un determinato evento o azione, infatti la punizione è parte della logica della colpa, secondo la quale devi “pagare” per l’errore commesso. Servirebbe invece un approccio che sia grado non solo di evitare il dilagare di azione ingiuste, ma che riesca anche a ridurre al minimo la visione “colpevolizzante”, che nel suo piccolo può anche identificarsi nel linguaggio utilizzato, come ad esempio insultare o deridere gli altri. In questo contesto, scrive Friman, la visione “circostanziale” è un chiaro esempio di punto di vista alternativo, cioè un punto di vista meno colpevolizzante e più compassionevole dell’essere umano.

Ricollegandosi all’analisi del comportamento, Friman scrive che il fine ultimo dell’analisi comportamentale è quello di capire quali circostanze funzionali siano dietro un determinato comportamento problema e quindi conoscere la fonte di tali circostanze che lo hanno influenzato. Questo è il reale punto di forza della visione circostanziale, non solo evitare che certi comportamenti vengano assunti, ma estirpare la ragione che li hanno indotti.

Non a caso Skinner, il padre dell’analisi comportamentale, ed altri scienziati del comportamentismo, hanno cercato numerose volte tramite i loro libri di diffondere questo tipo di visione (per citare i più importanti: Walden II del 1948, Science and Human behavior del 1953; Beyond Freedom and Dignity del 1971 e A lecture on Having a poem del 1972 di Skinner, e Coercion and its fallout di Murray S. del 1989), la quale andando oltre la metodologica scientifica e l’approccio sperimentale, rappresenta i principi e gli ideali cui si ispira l’analisi del comportamento, che tutti gli analisti comportamenti dovrebbero abbracciare e ricordare sempre.

Quindi, partendo dall’essenza stessa della “Circumstances View” applicata ai comportamenti problema, essa permette di non dare la colpa alla persona che manifesta il comportamento, ma bensì di intervenire sul comportamento stesso andando a modificare le circostanze che lo hanno determinato.

Un esempio calzante per spiegare questo tipo di approccio è immaginare di stare in macchina percorrendo una strada con un’unica corsia e di essere ad un semaforo, davanti a noi c’è solo una macchina ferma ad un incrocio con il semaforo rosso, allo scattare del verde la donna che è al voltante della macchina davanti si gira e sembra cercare qualcosa sul sedile posteriore dell’auto e ripete la stessa azione diverse volte, tanto da fare scattare più volte il rosso non permettendoci di continuare il percorso. Dopo l’ennesimo scattare del semaforo rosso, decidiamo di scendere dall’auto e andare con aria infastidita a chiedere spiegazioni alla donna. Bussando al finestrino in maniera molto insistente, la donna si gira e la troviamo in lacrime molto preoccupata, ci comunica che il figlio sta molto male e non sa a chi chiedere aiuto. A quel punto il nostro punto di vista sicuramente cambierà e diventerà compassionevole per la donna. Secondo la visione “circostanziale” c’è sempre “un bambino nel sedile posteriore della macchina”, che parafrasando vuol dire che ci sono sempre delle circostanze che sono funzionalmente associate al comportamento oggetto di studio.

Nonostante tale approccio o visione, sia particolarmente efficace e di rilievo nei confronti di un ampio numero di problemi comportamentali, l’assunzione di questo punto di vista, rispetto a quello “colpevolizzante”, è notevolmente inferiore, e le ragioni possono essere molte. L’autore ci mostra in più dettaglio quali sono queste ragioni e perché determinano una ridotta diffusione di tale approccio.

Generalmente, i principali ostacoli alla divulgazione della “Circumstances View” provengono da specifici aspetti dello stesso approccio, come anche da degli atteggiamenti mostrati dagli stessi analisti comportamentali. Qui di seguito sono riportati sommariamente.

Sicuramente un aspetto che rende ridotta la diffusione di questa visione è la sua storia relativamente recente, anche se agli inizi del ventesimo secolo si è per la prima volta sentito parlare di essa, non può di certo competere con la visione “colpevolizzante”, molto più diffusa e permeata nella società. Senza dimenticare che l’applicazione della visione “circostanziale” implica una serie di passaggi obbligati che rendono sicuramente molto più difficile il suo utilizzo, infatti riflettere su quali possano essere state le circostanze che hanno portato ad un determinato comportamento, è più complesso e dispendioso in termini di tempo, rispetto al dare la colpa a qualcuno. Infatti “colpevolizzare” qualcun altro permette una risoluzione “apparente” delle problematiche e indubbiamente più veloce ed economica.

Dall’altra parte gli stessi analisti comportamentali, i quali dovrebbero essere i principali “propagatori” di tale visione, sono gli stessi che la ostacolano maggiormente e per diversi motivi: ad esempio a volte essi tendono dare la colpa ai genitori o ai ceregiver di un trattamento non di successo a causa della loro poca aderenza alle procedure necessarie, piuttosto che valutare le ragioni che sono dietro la ridotta “compliance”. Oppure ancora a volte gli analisti comportamentali tendono a colpevolizzare chi ha una visione diversa dalla loro anche se lavorano in un campo molto simile. Come il caso del Positive Behavior Support (PBS), il quale ha molte somiglianze con l’analisi del comportamento applicata. Tuttavia, molti puristi dell’analisi del comportamento, compreso Skinner, hanno criticato chi seguiva il PBS di avere “copiato” i principi dell’analisi del comportamento applicata, di fatto allontanandoli, favorendo da una parte una “guerra” sul piano intellettuale e meramente teorico, e inibendo dall’altra la potenziale diffusione della visione “circostanziale”, sia in termini numerici, sia in termini di diversificazione nel campo. In ultimo quello che rema contro la circolazione della visione circostanziale sono il linguaggio tecnico-scientifico e la ricerca, aspetti fondamentali che caratterizzano l’analisi del comportamento senza i quali tale scienza non esisterebbe, ma che allo stesso tempo la rendono facilmente attaccabile agli occhi di chi non ha la stessa familiarità con l’approccio scientifico, oppure ancora di chi ha una visione diversa. Purtroppo a volte, gli analisti comportamentali anziché giudicare in maniera “circostanziale” tali critiche, cercando di rendere più appetibile la loro scienza e i loro studi, mantengono un certo rigore di linguaggio e di metodologia che ostacola la diffusione della “Circumstances View”.

Descritti i principali ostacoli, cosa si potrebbe fare per facilitare la divulgazione della “Circumstances View” secondo Friman?

  1. Essere un analista comportamentale

Anche se apparentemente un consiglio banale, in realtà è forse quello più difficile da seguire, perché esso richiede un reale abbandono della visione critica dei comportamenti problema: mantenere un’estrema convinzione che siano le circostanze ad avere determinato un comportamento e allo stesso tempo un certo distacco emotivo che normalmente farebbe indurre a determinate reazione evocate da un comportamento problematico. Conseguentemente, deve essere chiaro che per agire su quel comportamento occorre modificare l’ambiente piuttosto che la persona. Un esempio calzante in questo caso ce lo da il marketing, infatti il suo obiettivo è quello di rendere uno stimolo appetibile agli occhi del consumatore per modificare il suo comportamento e indurlo all’acquisto del prodotto, quindi quello che fa il marketing è modificare eventualmente il prodotto, se esso non piace al consumatore, di certo non il contrario. Lo stesso fanno gli analisti comportamentali quando si confrontato con un comportamento problematico, usano uno stimolo adatto ed eventualmente lo modificano per modificare il comportamento del paziente. Vedendolo da un altro punto di vista, lo stesso marketing potrebbe a sua volta prendere spunto dagli analisti comportamentali e abbracciare la “Circumstances View”, che segue indubbiamente dei principi più nobili rispetto ad un certo tipo di marketing.

 

  1. Utilizzare un linguaggio comprensibile

Un altro suggerimento è quello di utilizzare un linguaggio più comprensibile, soprattutto quando un analista comportamentale deve confrontarsi con persone che non sono del campo. Un metodo potrebbe essere quello di utilizzare meno linguaggio tecnico e più esempi e casi concreti, che possano raccontare meglio i principi dell’analisi del comportamento e l’applicazione di certe procedure. Non a caso, la diffusione dell’Early Intensive Behavioral Treatment (EIBI) è indubbiamente legata a testi come Let Me Hear Your Voice: A Family’s Triumph over Autism di Maurice, pubblicato nel 1993, piuttosto che agli iniziali studi fatti da Lovaas nel 1987, questo perché il primo raccontava una storia molto più accattivante rispetto al linguaggio tecnico scientifico che i libri e gli studi di Lovaas utilizzavano.

 

  1. Espandere la ricerca metodologica dell’analisi del comportamento

Aumentare il campione coinvolto in studi sulla metodologia dell’analisi del comportamento, permetterebbe anche un aumento della diffusione della “Circumstances view”. Lo svolgimento di studi con un campione relativamente ridotto è e sarà sicuramente utile per affinare la metodologia impiegata dagli analisti comportamentali, ma non avvicina un pubblico più ampio a questa scienza. Anzi, questa condizione favorisce l’introduzione di metodologie proprie dell’analisi del comportamento all’interno di altre branche della psicologia, e una conseguente attribuzione indebita di alcune procedure ad esse (come in parte è stato per la psicologia cognitiva). Dall’altra parte gli analisti comportamentali senza un grande pubblico che li segue, sia nell’ambito della ricerca, sia nell’ambito dell’attività clinica, non possono facilmente rivendicare la “paternità” di alcune procedure.

 

  1. Trattare argomenti più mainstream che hanno maggiore risonanza fra il pubblico

Un altro aspetto che caratterizza la ricerca e l’attività clinica degli analisti comportamentali, è quello di occuparsi di problematiche abbastanza circoscritte che raramente coinvolgono buona parte della popolazione. Questo interesse ristretto, non attira sicuramente la curiosità del grande pubblico. Tuttavia, un modo per controbilanciare questo atteggiamento, è quello di svolgere studi e ricerche su una popolazione più ampia, ad esempio su un campione di soggetti a sviluppo neurotipico con problematiche ampiamente conosciute e comuni. Questo è quello che ha fatto lo stesso autore del presente articolo per almeno due volte, occupandosi dei fenomeni del “thumb sucking”, cioè ciucciare il pollice, e del “bedtime resistance”, cioè la resistenza di alcuni bambini ad andare a letto la sera. Entrambi gli studi sono stati un grande successo che hanno permesso la pubblicazione degli articoli in riviste mediche, quali Pediatrics e American Medical Association’s journal, nonostante la pubblicazione su JABA (journal od Applied Behavioral Analysis) fosse senza dubbio un importante obiettivo perché il giornale di più alto spessore nel campo dell’analisi comportamentale, la pubblicazione in giornali con un seguito più ampio ha permesso una maggiore divulgazione del metodo impiegato e quindi maggiori occasioni per parlare della visione “circostanziale”.

In ultimo, ma primo per importanza, un modo per contribuire alla causa è far sì che gli analisti comportamentali cerchino di trovare maggiori punti in comune fra loro e facendo leva su di essi per favorire l’unità. Esistono almeno tre punti in comune su cui si può fondare l’unità.

Al di là delle divergenze teoriche e pratiche, tutti gli analisti comportamentali basano le loro ricerche sull’analisi dei dati, impiegando un approccio scientifico e oggettivo, che ne garantisce un certo rigore e attendibilità. Inoltre, l’intenzione comune di tutti gli analisti comportamenti è quella di educare, che siano nelle vesti di educatori stessi, o di ricercatori o di clinici. Infine, ultimo aspetto che unisce tutti gli analisti comportamentali è quello di contribuire alla diffusione della “Circumstances View” e questo è il principale punto di forza che dovrebbe fornire la spinta unificatrice, contrastando la visione “colpevolizzante” che purtroppo è parte integrante della nostra società.

Friman, P. (2021). There is no such thing as a bad boy: The Circumstances View of problem behavior. Journal of Applied Behavior Analysis, 9999, 1-18. https://doi.org/10.1002/jaba.816.

Referenze

Hineline, P. N. (1992). A self-interpretive behavior analysis. American Psychologist, 47, 1274–1286. https://doi.org/10.1037/0003-066X.47.11.1274.

Maurice, C. (1993). Let me hear your voice: A family’s triumph over autism. Ballantine Books.

Oursler, F., & Oursler, W. (1949). Father Flanagan of Boys Town. Double Day.

Sidman, M. (1989). Coercion and its fallout. Cambridge Center for Behavioral Studies.

Skinner, B. F. (1948). Walden two. Macmillan.

Skinner, B. F. (1953). Science of human behavior. The MacMillan Co.

Skinner, B. F. (1971). Beyond freedom and dignity. Knopf.

Skinner, B. F. (1972). A lecture on having a poem. In B. F. Skinner, Cumulative Record (3rd. ed.), pp. 345-355.Appleton-Century-Crofts.

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